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Malattia di Stargardt: ipotesi terapeutica

17 Novembre 2017 by carmineciccarini

La malattia di Stargardt colpisce un individuo su 10.000 ed è dovuta alla mutazione del gene ABCA-4 nei fotoricettori; la mia esperienza professionale mi ha portato alla formulazione di una ipotesi terapeutica.

Nelle malattie genetiche come la Stargardt, prima che la terapia genetica che utilizza come vettori dei lenti virus trasportatori di DNA specifico a modificare l’alterazione genetica diventi attuale, occorre formulare una terapia che possa permettere ai pazienti affetti di poter essere sottoposti a cure futuribili senza prima essere diventati ciechi.

L’immagine retinica mostra nella zona maculare depositi giallognoli di lipofuscina. Ciò definisce un quadro tipoco della Stargardt.

Qualche anno fa anche malattie genetiche come le atrofie ottiche venivano considerate incurabili. Eppure, con adatte terapie documentate da test di laboratorio, attualmente ho in cura pazienti che sono riusciti a recuperare visus da 1 dino a 5/10 con miglioramento del campo visivo importante diagnosticato anche da altri centri specialistici. E’ noto che pazienti con Stargardt devono seguire una dieta opportuna facendo molta attenzione all’apporto di vitamina A.

Un eccesso di questa vitamina viene trasformato dal gene mutato in derivati tossici che noi percepiamo all’esame del fundus come depositi giallognoli sottoretinici di lipofuscina.

In figura si evidenziano i depositi giallastri di materiale lipoproteico (drusen) associabile a quello comunemente definito lipofuscina. Il deposito si trova sotto ai fotoricettori retinici (in marrone) sotto l’epitelio pigmentato; con il neuromediatore dopamina determina il giusto funzionamento delle cellule ganglionari.

Come per la sindrome di Leber, andrebbe usato l’idebenone che, bloccando i radicali liberi che inibiscono l’ATP-mitocondriale (fonte energetica essenziale per le cellule nervose) permette alle cellule retiniche di non”morire di fame” per la carenza di fonti energetiche.

Levodopa – Idebenone – Vitamina E

Anche la levodopa, che studi amenricani hanno utilizzato per combattere la neuropatia ottica ischemica oltre alla maculopatia, potrebbe essere utile essendo una fonte di dopamina, neurotrasmettitore responsabile del “dialogo” tra cellule ganglionari senza le quali si arriva ad una maculopatia associata ad atrofia ottica. Infine un terzo fattore da considerare è la vitamina E (Alfa-tocoferolo); ad alti dosaggi che agisce sulla lipofuscina presente nel cervello e quindi per analogia anche sui recettori retinici; tutto ciò per la sua potente azione antiossidante e per la capacità di potenziare gli effetti della vitamina A a livello delle menbrane cellulari.

Quindi in conclusione l’associazione di idebenone, vitamina E e dopamina, può. almeno teoriacamente, contrastare la formazione di lipofuscina. Naturalmente ci vorranno anni per stabilire se questo approccio sia efficace a livelli significarivi. In ogni caso ritengo che, vista la facile reperibilità ed il costo moderato di queste sostanze, può valerne la pena.



Dr. Carmine Ciccarini

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