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20/Mar/2024

Una sindrome rara sistemica che interessa anche l’apparato oculare: la Churg-Strauss

La granulomatosi eosinofila con poliangioite (Eosinophilic Granulomatosis with Polyangiitis EGPA), precedentemente nota come sindrome di Churg-Strauss, è un’infiammazione dei vasi sanguigni (vasculite) di piccole e medie dimensioni, per questo motivo può interessare anche i piccoli vasi della retina della cornea, sotto forma di sindrome di Cogan, e del nervo ottico.

In generale, l’infiammazione è una risposta naturale del sistema immunitario a lesioni o infezioni e aiuta a combattere i microrganismi invasori. Tuttavia, in alcuni casi, per ragioni non sempre definite, l’infiammazione si verifica contro i propri tessuti sani tramite una risposta auto-infiammatoria o autoimmune. In particolare, nella vasculite il sistema immunitario attacca i vasi sanguigni inducendo gonfiore e ostruzione degli stessi.

La patologia di Churg-Strauss è di natura sistemica e gli organi colpiti più comunemente sono i polmoni e la pelle ma possono essere coinvolti anche cuore, reni, nervi e intestino.  In questo tipo di vasculite sia nel sangue, sia nei tessuti interessati, si trovano livelli molto alti di un tipo di globuli bianchi, gli eosinofili, che oltre a essere correlati con le allergie combattono le infezioni causate da parassiti.

Per quanto concerne l’apparato visivo sintomi comuni sono dolore oculare, riduzione della vista, aumento della sensibilità alla luce intensa e arrossamento oculare; la diagnosi viene formulata in base alla valutazione medica e a esami del sangue. Il trattamento sintomatico prevede colliri a base di corticosteroidi e corticosteroidi in pillole

DIFFUSIONE

La sindrome di Churg-Strauss colpisce uomini e donne nella stessa misura, con una frequenza di circa 11-13 persone per milione. L’età media in cui viene scoperta è di circa 40 anni; è molto rara nei bambini o sopra i 65 anni di età.

Le persone con granulomatosi eosinofila con poliangioite (EGPA) presentano spesso sintomi aspecifici come febbre, malessere, anemia e perdita di peso. Un disturbo frequente è una grave forma di asma che compare in età adulta; Spesso è presente la sinusite e una serie di altri disturbi quali eruzioni cutanee, sensazione di spilli o intorpidimento, problemi intestinali, anemia, problemi cardiaci, dolori muscolari e articolari e stanchezza.

EVOLUZIONE DELLA PATOLOGIA

Un indicatore importante per accertare (diagnosticare) la EGPA è rappresentato dall’evoluzione nel tempo dei disturbi che, spesso, si sviluppano in 3 fasi:

  • prima fase “prodromica”, le persone soffrono spesso di allergie: allergie oculari con forte arrossamento, asma allergica, che solitamente compare in età adulta, sinusite fin da adolescenti, rinite allergica e poliposi nasale che tende a ripresentarsi dopo la rimozione chirurgica. La fase prodromica può persistere per molti anni
  • seconda fase “eosinofila”, si trovano livelli elevati di eosinofili nel sangue e, spesso, anche infiltrati nei tessuti degli organi colpiti come il sistema respiratorio, il tratto gastro-intestinale.
  • terza e ultima fase “vasculitica”, inizia l’infiammazione dei vasi piccoli e medi (vasculite), spesso tra i venti e i trenta anni di età. Stanchezza, perdita di peso e febbre spesso precedono questa fase. Nella terza e ultima fase predominano i disturbi causati dal coinvolgimento dei vasi presenti nei diversi organi e apparati.

lesioni oculari caratteristiche della Sindrome

La fase acuta della patologia autoimmune è caratterizzata essenzialmente da neuropatia periferica, (mononeurite multipla nel 65-75% dei casi) , manifestazioni neurologiche presentano  interessamento dei nervi cranici, neurite ottica ischemica, neurite dei nervi cranici e del nervo ottico. Raro il coinvolgimento del sistema nervoso centrale; lesioni sulla pelle, più frequentemente in rilievo, compaiono in circa il 51% delle persone.

Problemi renali e interessamento del muscolo cardiaco (cardiomiopatia e pericardite) sono più rari, ma la sequenza delle fasi non è sempre così ben definita, alcuni sintomi possono sovrapporsi e alcuni altri disturbi possono invece non presentarsi affatto.

 


23/Feb/2024

DISCROMATOPSIA….UN NOME COMPLICATO PER IDENTIFICARE IL “DALTONISMO”

La discromatopsia è un difetto alla vista di alcuni colori, ovvero un’inabilità a percepire i colori, del tutto o in parte. È un difetto del cromosoma X, quindi di natura prevalentemente genetica.

Il daltonismo tuttavia può insorgere anche in seguito a danni agli occhi, ai nervi o al cervello e persino in seguito all’esposizione ad alcuni composti chimici.

Il termine volgare “daltonismo” prende il nome da John Dalton che per primo ne scoprì l’esistenza, egli stesso è spesso ricordato come lo scienziato che vedeva il mondo con “altri colori”, e ne ipotizzò l’ereditarietà già nell’800, e si identifica oggi con il termine deuteranomalia.

Il daltonismo porta a un malfunzionamento delle cellule sensoriali, fotorecettori, che pur essendo tutte presenti (coni rossi, verdi e blu), presentano tutte o soltanto alcuni gruppi un malfunzionamento, determinando la mancanza di capacità totale o parziale da parte dei soggetti di riconoscere specifiche tonalità.

Si parla di dicromatismo quando è completamente assente la funzione di una sola delle tre varietà di coni.

Si distinguono quindi:

  • protanopia, cecità per il primo colore fondamentale, ossia il rosso;
  • deuteranopia, cecità per il secondo colore fondamentale, ossia il verde;
  • tritanopia, cecità per il terzo colore fondamentale, ossia il blu–giallo.

Quando la cecità al colore è totale per mancanza di tutti e tre i coni si parla di acromatopsia.

Sono inoltre detti tricromati anomali quegli individui che sono sensibili a tutti e tre i colori fondamentali (tricromatismo), ma sono deficitari, in misura variabile, dei recettori di uno dei tre colori fondamentali.

Esempio di test sulla visione dei colori. Con lo schermo del computer configurato correttamente, le persone con visione corretta dovrebbero vedere il numero “74”. Molte persone discromatopsiche leggono il numero “21”

Si parla perciò di:

  • protanomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il rosso;
  • deuteranomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il verde;
  • tritanomalia, qualora sia deficitaria la sensibilità per il blu–giallo.

 

DIFFUSIONE

La discromatopsia ha una diffusione significativa, benché la sua incidenza vari molto all’interno di diversi gruppi umani. Comunità isolate con un patrimonio genetico relativamente ristretto a volte presentano un’alta proporzione di individui affetti da cecità ai colori, anche dei tipi più rari. Alcuni esempi sono l’Australia, in cui si stima che il 4% della popolazione abbia una qualche carenza nella percezione del colore, le regioni rurali della Finlandia e alcune isole della Grecia.

EZIOLOGIA

Esistono diversi tipi di discromatopsia. I più diffusi sono dovuti ad alterazioni ereditarie dei coni, i fotorecettori sensibili ai colori, ma è anche possibile diventare discromatopsici in seguito a un danneggiamento della retina, del nervo ottico o di determinate aree della corteccia cerebrale. Questa discromatopsia è spesso diversa da quella di origine genetica; per esempio può manifestarsi solo in una parte del campo visivo. Alcune forme di discromatopsia acquisita sono reversibili. Alcune forme temporanee di discromatopsia affliggono raramente chi soffre di emicrania.

DISCROMATOPIA GENETICA

 La discromatopsia genetica è normalmente dovuta a un allele recessivo posto sul cromosoma X. La mappatura del genoma umano ha peraltro dimostrato che la discromatopsia può essere indotta da una mutazione in 58 geni diversi, divisi tra 19 cromosomi. Questo tipo di discromatopsia colpisce circa il 5-8% degli uomini e <1% delle donne.[6] La maggior probabilità degli uomini di esprimere un fenotipo recessivo legato al cromosoma X è dovuta al fatto che i maschi hanno un solo cromosoma X, mentre le donne ne hanno due; se le donne ereditano un cromosoma X normale oltre a quello mutato, non mostreranno la mutazione, mentre gli uomini non hanno cromosomi X “di scorta” che contrastino il cromosoma X mutato. Se il 5% delle varianti di un gene è difettoso, la probabilità che una copia singola sia difettosa è del 5% e la probabilità che entrambe siano difettose è (5% × 5%) = (0,05 × 0,05) = 0,0025, ovvero 0,25%.

DIAGNOSI: le tavole di Ishihara

 Esistono diverse forme di discromatopsia alcune più deboli altre, invece, meno. Quest’ultime possono riscontrarsi in modo evidente già durante l’infanzia.

I colori che i bambini maggiormente confondono sono:

  • il rosa con il grigio;
  • l’arancione con il giallo;
  • il bianco con il verde;
  • il marrone con il bordeaux

ma soprattutto hanno difficoltà nel vedere i colori poco saturi. Infatti, un modo per potersi accorgere di questo a scuola, è riscontrare la difficoltà del bambino nel colorare paesaggi autunnali, foglie, alberi, tutte quelle cose dove prevalgono colori come il marrone e il verdastro. Dopo un primo accorgimento è, però, indispensabile somministrare ai bambini le cosiddette tavole di Ishihara.

Per una maggiore attendibilità bisogna somministrare test di questo tipo non prima dei 3 anni ed è molto importante ripeterli nel corso degli anni. Le tavole di Ishihara, dal nome dell’ideatore, il medico giapponese Shinobu Ishihara, consentono di valutare la presenza di alterazione visiva per quanto riguarda la percezione dei colori.

Per questo test vengono utilizzate 38 tavole pseudo-isocromatiche presenti in sequenza all’interno di un libro. Il test di Ishihara consiste nel riconoscere i numeri che tendono a confondersi con lo sfondo colorato, per i test rivolti ai bambini i numeri sono sostituiti con un disegno o un percorso. Questo test viene eseguito durante una visita oculistica ed è ideale soprattutto per l’identificazione dei deficit congeniti nell’asse rosso-verde; non riesce a fornire, invece, informazioni complete sui deficit di percezione cromatica che interessano l’asse blu-giallo. I risultati andrebbero, quindi, integrati con altri test per avere un quadro più completo.

Come vede il soggetto daltonico: un discromatopsico, ossia un individuo affetto da discromatopsia, non riesce a distinguere luci di diversa lunghezza d’onda. Se ad esempio gli si mostra un disegno con un triangolo rosso su uno sfondo verde, il soggetto può non distinguere la figura.

In rete oggi sono presenti degli strumenti grafici tramite i quali è possibile effettuare primi test per valutare la sensibilità ai colori, ad esempio: https://www.it.colorlitelens.com/test-di-daltonismo.html

CURA

Non esistono farmaci per correggere il daltonismo. L’unico rimedio sembra essere quello di indossare occhiali specifici, con lenti dotato di filtri progettati per correggere i difetto percettivo diagnosticato: ad esempio con lenti con filtro rosso che permettono al daltonico di percepire parzialmente le variazioni di rosso e di verde.

 

 


16/Gen/2024

ALTERAZIONI DELLA RETINA: LE STRIE ANGIOIDI

Le strie angioidi, evidenziate per la prima volta da Doyne nel 1889 che descrisse tale aspetto del fundus oculi in un paziente che presentava una emorragia retinica post-traumatica. Sono delle alterazioni della lamina elastica della membrana di Bruch (una sorta di sottilissima lamina di 2-4 micrometri, formata da due membrane basali – una dalla parte della coroide e una dalla parte dell’epitelio pigmentato retinico -, fibre collagene e fibre elastiche) che si presenta ispessita, calcifica e abnormemente fragile. Queste si manifestano con delle striature radiali, spesso pigmentate, emergenti dal nervo ottico.

La loro presenza è stata per lo più riscontrata in pazienti con pseudoxantoma elastico, una displasia ereditaria del tessuto elastico che colpisce prevalentemente la pelle, gli occhi, il sistema gastrointestinale e cardiovascolare.

Le strie angioidi si osservano solitamente nel giovane adulto, sebbene non siano mai state osservate alla nascita, esse si possono osservare anche nell’infanzia. È stato ipotizzato che le strie possano essere la conseguenza di traumi anche di lieve entità, ma sembra più probabile che esse si producano in modo spontaneo per una primitiva alterazione metabolica che coinvolge le fibre elastiche della membrana di Bruch.

Le strie angioidi sono state riscontrate a volte anche in altre affezioni quali la malattia di Paget e l’anemia a cellule falciformi.

L’incidenza dello pseudoxantoma elastico in pazienti con strie angioidi risulta in un recente studio italiano eseguito con la biopsia cutanea, pari all’85% dei casi esaminati; infatti a volte l’alterazione cutanea è molto evidente (pelle a “buccia d’arancia”), e può ritenersi come il primo segno indiretto sulla presenza delle strie angioidi.

Complicanze ed esami diagnostici

Le SA si manifestano come linee sottili e frastagliate di colore bruno-rossastro che si irradiano dal nervo ottico e che simulano il decorso di vasi sottoretinici.

Le strie sono normalmente bilaterali Queste strie rappresentano un segno di debolezza della corioretina e possono pertanto complicarsi con lesioni neovascolari a carico della macula con gravi ripercussioni visive.

I pazienti in una prima fase della patologia, tendono ad essere asintomatici finché non c’è coinvolgimento maculare, la cui complicanza più frequente è la neovascolarizzaione coroidale

Il paziente si accorge di queste complicanze per la comparsa di un calo visivo, di deformazioni delle immagini, di alterazioni dei colori questo a causa di edema maculare cistoide o schisi della retina centrale.

In tali casi è indispensabile fare una esatta diagnosi, in tempi rapidi, anche avvalendoci degli esami angiografici disponibili, quali la fluorangiografia e l’angiografia con verde indocianina.
Una volta rilevata la presenza di questi ciuffi di neovasi bisogna prendere in considerazione la terapia di fotocoagulazione laser ed iniezioni intravitreali con anticorpi monoclonali.

Trattamenti delle Strie Angioidi

Riferendosi alla casistica presente in letteratura, il trattamento laser sembrerebbe il più efficace rispetto alla evoluzione naturale della malattia, anche se il visus finale è spesso molto basso. Sono infatti elevate le recidive neovascolari e spesso dobbiamo intervenire con il laser più volte; ciò è dovuto al fatto che il tessuto è molto fragile e non è in grado di esercitare una barriera efficace e pertanto di aiutare la riparazione dei danni presenti

Attualmente la terapia fotodinamica è in valutazione. L’efficacia della fotocoagulazione laser non è mai stata ancora verificata in studi clinici controllati; alcuni studi su un numero ristretto di pazienti sono stati condotti anche in Italia dalla Fondazione Policlinico Tor Vergata di Roma. Anche l’associazione della terapia fotodinamica con verteporfirina, o associata a triamcinolone, ha fornito risultati controversi.

La recente introduzione degli inibitori del VEGF nella terapia della maculopatia neovascolare apre nuovi orizzonti nella terapia della forma associata alle strie angioidi. Sono recentemente comparsi in letteratura alcuni lavori su piccole casistiche che suggeriscono l’efficacia degli inibitori del VEGF in tale patologia. Per una personale esperienza clinica anche in questa patologia le iniezioni intraoculari danno risultati sicuramente migliori rispetto al Laser ed il trattamento anti-VEGF sembra confermare la possibilità di ottenere, perlomeno a breve scadenza, buoni risultati per il recupero parziale del visus.

 

ALCUNI STUDI DI RIFERIMENTO

  1. Ciulla TA, Criswell MH, Danis RP, Hill TE. Intravitreal triamcinolone acetonide inhibits choroidal neovascularization in a laser-treated rat model. Arch Ophthalmol 2001;119:399–404.
  2. Gillies MC, Simpson JM, Luo W, et al. A randomized clinical trial of a single dose of intravitreal triamcinolone acetonide for neovascular age-related macular degeneration: one-year results. Arch Ophthalmol 2003;121:667–673.
  3. Teixeira A, Moraes N, Farah ME, Bonomo PP. Choroidal neovascularization treated with intravitreal injection of bevacizumab (Avastin) in angioid streaks. Acta Ophthalmol Scand 2006;84(6):835-836.

 


16/Gen/2024

PARALISI ESTERNA PROGRESSIVA: oppure tecnicamente OFTALMOPLEGIA

L’oftalmoplegia (o paralisi) esterna progressiva è una sindrome di origine genetica caratterizzata da debolezza progressiva dei muscoli degli occhi e delle palpebre, che comporta palpebre cadenti (ptosi) e paralisi dei muscoli oculari. Può inoltre essere presente debolezza dei muscoli degli arti, di gravità variabile. La malattia si manifesta principalmente in età adulta.

Si tratta di una sindrome genetica recessiva o dominante che causa ptosi palpebrale (abbassamento della palpebra) e progressivamente una paralisi dei muscoli oculari con impossibilità all’elevazione, all’abbassamento e alle adduzioni orizzontali.

esempi di pazienti affetti da oftalmoplegia

In certi casi può accompagnare una forma di Parkinson molto aggressiva (paralisi sopranucleare progressiva). Il paziente ha difficoltà scendere le scale e spesso è soggetto a cadute con conseguenze immaginabili.

Eziologia

Questa affezione è dovuta ad una malattia dei mitocondri causata da alterazioni del DNA che si verificano già nell’infanzia; alcuni disturbi possono manifestarsi in età adulta, anche oltre i 660 anni di età.

I geni associati a questa mutazione sono diversi, tra questi il POLG, il POLG2, ANTI1, TNINKLE e altri; l’ereditarietà può presentarsi in forma recessiva (da genitori sani, ma portatori del gene mutato malato) o dominante. Esistono mutazioni spontanee non genetiche, talvolta in soggetti che hanno subito trattamenti chemioterapici.

Terapia

Idebenone ad alti dosaggi ha dato risultati soddisfacenti; un buon risultato è stato riscontrato anche con iniezioni para-bulbari o retro-bulbari con cortisonici iniettati direttamente sul cono muscolare retrorbitale.

 


14/Dic/2023

La rosolia è una tra le più note malattie esantematiche tipiche dell’infanzia. Di solito, il decorso è benigno e la sintomatologia è di lieve entità, senza particolari conseguenze per la salute. Una volta superata, la rosolia lascia un’immunità permanente, pertanto non è più possibile ammalarsi.

Tuttavia, se l’infezione è contratta per la prima volta in gravidanza, il virus della rosolia può superare la barriera placentare raggiungendo il sistema circolatorio fetale, quindi può essere trasmesso all’embrione o al feto in via di sviluppo attraverso la circolazione sanguigna.

Ciò può rivelarsi molto pericoloso per la salute del nascituro; una volta nel sistema circolatorio fetale il virus può moltiplicarsi rapidamente nei tessuti embrionali, provocando danni cromosomici ed alterazioni dell’organogenesi.

Una volta trasmessa dalla madre all’embrione o al feto, l’infezione può provocare aborto spontaneo, morte intrauterina e malformazioni di varia gravità.

Le più comuni manifestazioni fetali della rosolia congenita sono i difetti della vista, la sordità, le malformazioni cardiache ed il ritardo mentale.

La rosolia in gravidanza comporta rischi particolarmente gravi se contratta nei primi 3-4 mesi di gestazione. L’infezione congenita e le possibili conseguenze della malattia sono strettamente connesse al momento in cui la gestante contrae la malattia. In particolare, se la rosolia viene contratta durante le prime 10 settimane di gravidanza, il rischio stimato di conseguenze per il feto è fino al 90%.

Le probabilità che il nascituro sviluppi complicanze si riducono al 30%, se l’infezione avviene tra la 11esima e la 16esima settimana. Nelle infezioni contratte oltre la 17esima settimana di gravidanza, nel neonato è stato registrato prevalentemente un rischio di sordità congenita o problemi all’apparato visivo. Oltre il primo trimestre di gestazione, infatti, la placenta esplica un’azione protettiva, quindi è più raro che si verifichi un’infezione fetale in questo periodo.

Studi recenti condotti al Policlinico Gemelli di Roma hanno riscontrato che il passaggio del virus rubeolico nel periodo sicuramente a rischio per il feto (fino alla fine del 4°mese) non è comunque molto frequente: nell’ esperienza clinica del Gemelli è stato documentato nel 16% dei casi.

Un neonato che ha contratto l’infezione durante lo sviluppo intrauterino può rimanere infettivo anche per mesi dopo la nascita.

 

I problemi alla vista più frequenti causati dal virus della rosolia possono essere:

  • cataratta congenita: si presenta subito come un’opacità del cristallino che è presente alla nascita o poco dopo la nascita. Essa si presenta spesso come bilaterale e densa. La diagnosi è clinica e talvolta mediante imaging. La terapia consiste nell’asportazione chirurgica precoce della cataratta, solitamente tra le 4-10 settimane di età.

 

  • microftalmia (ridotto sviluppo oculare nel corso della vita intrauterina): si manifesta alla nascita come difficoltà ad aprire la palpebra, talvolta anche il diametro dell’iride è più piccolo. Non esiste un trattamento curativo vero e proprio, l’utilizzo di protesi di diverse dimensioni permette di ingrandire a poco a poco la cavità orbitaria, favorendone uno sviluppo più armonico. Il loro posizionamento, necessario fin dai primi mesi di vita, può però rivelarsi molto difficoltoso.

 

  • glaucoma congenito o glaucoma infantile primario è una rara anomalia per cui l’umor acqueo non defluisce correttamente dalla camera anteriore dell’occhio. L’ostruzione aumenta la pressione all’interno dell’occhio e può persino danneggiare il nervo ottico e causare la cecità completa se non viene trattata tempestivamente in primis con colliri che hanno l’obiettivo di far diminuire la pressione intraoculare e successivamente con opportuni trattamenti laser.

 

  • corioretinite risposta infiammatoria anche severa che colpisce la zona posteriore dell’occhio con origine infettiva. Danneggiando il nervo ottico in maniera non reversibile, può portare ad importanti danni al visus

 

  • retinite pigmentosa: distrofia retinica, caratterizzata dalla graduale perdita dei fotorecettori e dalla disfunzione dell’epitelio pigmentato. Questo significa che la retina riduce progressivamente la propria capacità di trasmettere le informazioni visive al cervello tramite il nervo ottico; anche in questo caso la natura è congenita ed infettiva provocata da rubivirus.

09/Ott/2023

ANCORA A PROPOSITO DI PATOLOGIE RARE: Ulcera di Mooren

L’ulcera di Mooren, anche chiamata ulcera rodente, è una rara forma di cheratite (infiammazione della cornea) cronica, che si localizza inizialmente alla periferia della cornea per poi spostarsi circonferenzialmente e centripetamente. È una condizione rara ma piuttosto grave, la causa è autoimmune.

La patologia di Mooren colpisce principalmente il sesso femminile e le razze asiatiche ed africane, ma si presentano alcuni casi anche in Europa.

In base alle caratteristiche cliniche, ai reperti fluor-angiografici e alla risposta al trattamento sono stati riconosciuti 3 diversi tipi di patologie:

  • Ulcerazione Monolaterale che colpisce principalmente pazienti anziani di razza bianca di solito di sesso femminile: i segni sono dati da un’ulcera progressiva accompagnata da forte dolore e associata ostruzione vascolare superficiale.
  • Ulcerazione aggressiva bilaterale la quale si presenta per lo più nei pazienti giovani di sesso maschile di origine Indiana; essa è meno dolorosa rispetto al tipo monolaterale ed è data da ulcerazione progressiva della circonferenza con diffusione centripeta tardiva. L’angiografia con fluoresceina mostrano la neo vascolarizzazione con infiltrazione che si estende alla base dell’ulcera.
  • Ulcera bilaterale non dolorosa che colpisce di solito i pazienti di mezza età di origine indiana malnutriti. I segni sono dati da formazione progressiva di un solco periferico fastidioso con una risposta infiammatoria minima che spesso si risolve spontaneamente.

 

SINTOMATOLOGIA

I segni comuni a tutte le forme di Ulcera di Mooren in ordine di comparsa sono: infiltrazione corneale periferica 2-3 mm dal limbus; ulcera corneale semilunare caratterizzata dall’estesa erosione al di sopra dell’infiltrato; diffusione su tutta la circonferenza centrale.

Lo stato riparativo è caratterizzato da assottigliamento, vascolarizzazione e cicatrizzazione. È possibile la comparsa di cataratta secondaria. Se la sclera non è coinvolta la perforazione è rara.

 

TRATTAMENTO

Il trattamento dell’ulcera di Mooren si differenzia a seconda di quale caso tra quelli sopra descritti della patologia viene individuato durante la diagnosi:

Nel caso di ulcerazione monolaterale il trattamento è difficile a causa della scarsa risposta all’immunoterapia sia topica che sistemica della patologia; anche risultati del trapianto di cornea non sono soddisfacenti con recidive corneali e possibile recidiva dell’ulcerazione del lembo.

Per l’ulcerazione aggressiva bilaterale il trattamento si avvale dell’utilizzo di Metilprednisolone per via endovenosa eseguiti da steroidi topici sistemici o agenti citotossici. Inoltre può anche essere utilizzata la ciclosporina topica o sistemica. I risultati sono abbastanza soddisfacenti dal punto di vista clinico.

Nella terza sintomatologia che in realtà è la meno grave e quella legata ad una particolare etnia geografica dove se ne riconosce la diffusione prevalente, Il trattamento prevede il miglioramento della dieta e la risoluzione delle infezioni associate.

Come prima linea di terapia inoltre, un regime immunosoppressivo aggressivo e personalizzato sulla base della sua gravità, migliora le possibilità di controllo della malattia anche in casi di patologia molto aggressiva.

Studi hanno invece evidenziato che la resezione coniugale e l’applicazione della colla di cianoacrilato non sono efficaci nell’evitare le ricorrenze e fermare la progressione della malattia.

 

APPROFONDIMENTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  1. Br J Ophthalmol. 2013 Nov  – “Immunosuppression for Mooren’s ulcer: evaluation of the stepladder approach–topical, oral and intravenous immunosuppressive agents.” – Ashar JN, Mathur A, Sangwan VS. Cornea and Anterior Segment Services, L V Prasad Eye Institute, Hyderabad, Andhra Pradesh, India
  2. Br J Ophthalmol. 2016 Jul  –  “Efficacy of conjunctival resection with cyanoacrylate glue application in preventing recurrences of Mooren’s ulcer.” –  Lal I, Shivanagari SB, Ali MH, Vazirani J. Cornea and Anterior Segment Services, LV Prasad Eye Institute, GMRV Campus, Visakhapatnam, Andhra Pradesh, India

 


07/Set/2023

La corioretinite è un’infiammazione che colpisce la zona posteriore dell’occhio: in particolare coroide, retina e corpo vitreo.

Si parla allo stesso modo di corioretinite,  coroidite, retino-coroidite (l’infiammazione ha inizio a livello retinico e successivamente colpisce la coroide) e vasculite retinica, ma la differenza è in realtà più teorica che pratica: la nomenclatura varia principalmente a seconda della localizzazione iniziale dell’infiammazione.

Una distinzione va fatta invece con la corioretinopatia sierosa centrale che è caratterizzata da un distacco sieroso del neuroepitelio al polo posteriore, causato dal passaggio di fluido dalla coroide nello spazio sotto-retinico attraverso un difetto dell’epitelio pigmentato; non è però caratterizzato dal processo infiammatorio caratteristico delle corioretiniti.

 

CAUSE

Le corioretiniti possono essere distinte in quelle con causa infettiva e non infettiva. Più in particolare:

  • infettiva (batteri, virus, miceti, parassiti): provocate da tubercolosi, sifilide, toxoplasmosi, toxocariasi, infezioni erpetiche, candidosi e rosolia. Nei pazienti con immunodepressione primaria (malattie autoimmuni) o acquisita (malati di AIDS) è frequente la corioretinite da Citomegalovirus, Hystoplasma e Criptococco;
  • non infettiva: più frequentemente provocate da sarcoidosi, malattia di Behçet (SD) e sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada.

 

PRINCIPALI SINTOMI e DIAGNOSI della CORIORETINITE

Generalmente il sintomo principale è la riduzione della vista sia a causa   dell’infiammazione che del conseguente intorbidamento del corpo vitreo.

È caratterizzata dalla presenza di focolai infiammatori sulla superficie della retina. La malattia può essere a focolaio unico, a focolai multipli e disseminati (CORIORETINITE MULTIFOCALE) oppure diffusa. Si può presentare in forma purulenta o essudativa. La prima forma è causata da agenti infettivi (batteri, virus, funghi, parassiti), mentre quella essudativa è rara, di origine ignota e si presenta in età giovanile, con emorragie retiniche seguite da fenomeni degenerativi.

I disturbi dipendono dalla localizzazione dei focolai infiammatori sulla retina. Infatti, se si localizzano a livello della macula (centro della retina) o si presentano in maniera diffusa, la funzione visiva è gravemente compromessa. Inoltre, se vi è un interessamento infiammatorio del vitreo (corpo vitreo torbido) si ha la comparsa di miodesopsie (corpi mobili filiformi o puntiformi presenti all’interno del vitreo che proiettano sulla retina la loro ombra) e sintomi legati alla retinite concomitante: sensazioni luminose come fosfeni (lampi di luce), metamorfopsie (distorsione delle immagini) e micropsie (rimpicciolimento delle immagini).

La diagnosi si esegue con l’esame del fondo oculare. I focolai infiammatori di corioretinite possono essere isolati o confluenti fra loro e, all’esame oftalmoscopico, appaiono come chiazze bianco-grigiastre a bordi sfumati, che spiccano sul restante fondo rosso. Il vitreo sovrastante è di solito lievemente torbido. Nella forma essudativa attiva si riscontra la presenza di un focolaio infiammatorio che ha l’aspetto di un nodulo sfumato biancastro con vitreo sovrastante torbido. All’esame oculistico può essere evidenziata l’infiammazione all’interno del bulbo oculare (camera vitrea), talvolta così intensa da rendere impossibile l’esplorazione della retina retrostante. Molto spesso si riscontra una vasculite retinica: i vasi si infiammano, si possono restringere fino all’occlusione.

A guarigione avvenuta, ossia il focolaio si spegne, la lesione si cicatrizza e assume l’aspetto di un’area retinica con pigmentazione irregolare e vitreo sovrastante rischiarato.

Altri esami di approfondimento includono la fluoroangiografia, ed esami del sangue che mirano a individuare eventuali agenti patogeni.

La vasculite può essere responsabile di complicanze anche invalidanti per la funzione visiva come, ad esempio, l’edema papillare (del nervo ottico), la maculopatia cistoide, il distacco di retina e le endoftalmiti.

 

TERAPIA

A prescindere dalla causa alla base dell’infiammazione, la terapia si avvale fondamentalmente di cinque categorie di farmaci: i corticosteroidi, i midriatici e i cicloplegici, gli immunosoppressori, gli antinfiammatori non steroidei e antibiotici.

I cortisonici rappresentano il cardine del trattamento antiuveitico. Possono essere somministrati per via locale (colliri o pomate), sistemica (orale, intramuscolo o endovena) e per via perioculare (iniezioni dietro al bulbo oculare). Ovviamente per le uveiti causate da determinati agenti patogeni (come sifilide, toxoplasmosi e tubercolosi) sarà necessario effettuare terapie specifiche e mirate alla cura dell’infezione primaria.


13/Lug/2023

Malattie genetiche rare

LE RETINOPATIE LEGATE AL CROMOSOMA X

Le retinopatie legate al cromosoma X rappresentano un gruppo di malattie ereditarie della retina, che costituiscono un’importante causa di cecità soprattutto nei bambini.

Trattandosi di un gruppo eterogeneo di malattie, anche i meccanismi patogenetici alla base di queste patologie possono essere differenti tra loro. Tuttavia, le retinopatie legate al cromosoma X sono solitamente causate da mutazioni genetiche che provocano una perdita della funzione di alcune proteine e, per questo, rappresentano un ottimo target per le strategie di terapia genica.

Molte delle retinopatie legate al cromosoma X vengono trasmesse alla progenie da madri portatrici sane (cioè che non sviluppano la malattia, ma possono trasmetterla) e questo, nel tempo, ha aiutato i medici a conoscere sempre meglio le modalità di trasmissione ereditaria di queste patologie.

Dati pubblicati di recente dal Center for Hereditary Retinal Degenerations della University of Pennsylvania hanno riscontrato una base genetica nel 52% dei pazienti con retinopatia e, di questi, il 17% aveva una retinopatia legata al cromosoma X.

In primo luogo la RETINITE PIGMENTOSA

La retinite pigmentosa è una degenerazione lentamente progressiva e bilaterale della retina e dell’epitelio pigmentato retinico, causata da varie mutazioni genetiche. I sintomi comprendono emeralopia e riduzione del campo visivo periferico. La diagnosi si basa sull’esame del fondo oculare, che mostra pigmentazione a forma di spicole ossee nella retina equatoriale, restringimento delle arteriole retiniche, pallore cereo del disco ottico, cataratta sottocapsulare posteriore e cellule nel vitreo. L’elettro-retinogramma è utile per confermare la diagnosi. La vitamina A palmitato, acidi grassi omega-3 e luteina più zeaxantina possono contribuire a rallentare la progressione della perdita della vista.

La retinite pigmentosa sembra essere causata da un gene anomalo che codifica per le proteine retiniche; sono stati identificati parecchi geni. La trasmissione può essere autosomica recessiva, autosomica dominante o, raramente, legata al cromosoma X. Può rientrare nell’ambito di una sindrome (p. es., bassen-Kornzweig, Laurence-Moon). Una di queste sindromi comprende pure la perdita congenita dell’udito (sindrome di Usher).

L’ereditarietà legata al cromosoma X e le modalità genetiche di trasmissione delle retinopatie

Le malattie causate da variazioni di sequenza nei geni presenti sul cromosoma X sono note come malattie “X-linked”.

I cromosomi X e Y sono detti cromosomi sessuali, perché determinano il sesso del nascituro (XX per le donne e XY per gli uomini). Il cromosoma X contiene circa 1000 geni, rispetto ai circa 70 presenti sul cromosoma Y. Per equilibrare questa grande differenza, uno dei due cromosomi X, nelle donne, va incontro a un fenomeno detto “inattivazione”. Si tratta di un processo fisiologico che causa il silenziamento casuale di uno dei due cromosomi X, i cui geni, di conseguenza, non vengono espressi.

È stato dimostrato che alcuni dei geni legati al cromosoma X, che sono stati individuati tra le cause di malattie retiniche, come i geni RPGRRP2 e CACNA1F (associati alla retinite pigmentosa e ad altre retinopatie) subiscono tutti una completa inattivazione.

Alcuni geni legati allo sviluppo di retinopatie

Come detto, le forme di retinopatie legate a mutazioni o inattivazione dei geni presenti sul cromosoma X sono molteplici. Tra queste, alcune delle più frequenti, sono legate ai seguenti geni:

  • RPGR

RPGR (retinitis pigmentosa GTPase regulator) è stato il primo gene identificato come causa della retinite pigmentosa legata al cromosoma X.

Le mutazioni di RPGR sono responsabili di diversi tipi di malattia, tra cui la distrofia dei bastoncelli-coni (70%), la distrofia dei coni-bastoncelli (6-23%) e la distrofia dei coni (7%). (degenerazione primaria dei bastoncelli/coni, associata ad un marcato interessamento secondario dei coni/bastoncelli, con aspetto variabile del fondo oculare)

La retinite pigmentosa (RP) mostra un’ereditarietà legata al cromosoma X nell’8-16% dei pazienti con una prevalenza di maschi affetti di circa 1:15.000-1:26.000.

Il gene RPGR è responsabile di oltre il 70% di questi casi. La RP legata al cromosoma X tende ad avere un fenotipo più grave e si presenta spesso durante l’infanzia (in media a 5 anni di età).

  • RP2

Il gene della retinite pigmentosa RP2 è stato il secondo gene identificato come causa di RP legata al cromosoma X. Le mutazioni di questo gene sono responsabili di circa il 10-20% dei casi di RP legata al cromosoma X. I pazienti presentano caratteristiche tipiche della RP, tra cui cecità notturna, costrizione del campo visivo e conseguente riduzione dell’acuità visiva.

  • CHM

Varianti del gene CHM sono responsabili della degenerazione corioretinica nella coroideremia (degenerazione progressiva dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) e della coroide con prognosi sfavorevole per la vista nella quasi totalita’ dei casi).

La coroideremia colpisce da 1:50.000 a 1:100.000 persone, con un’alta prevalenza in Finlandia. I maschi sviluppano sintomi di nictalopia nella prima decade di vita, seguiti da una costrizione del campo visivo progressiva. È stato anche riportato che i pazienti con coroideremia hanno una riduzione generalizzata della visione dei colori, evidente già all’inizio della malattia.

La coroideremia è solitamente una malattia retinica isolata, tuttavia sono state osservate anche associazioni sindromiche. In questi casi la patologia è associata a perdita dell’udito, deterioramento cognitivo, labbro leporino e palatoschisi, deformità scheletriche, acrocheratosi.

  • RS1

La retinoschisi legata al cromosoma X è una condizione che colpisce approssimativamente 1:15000-1:30.000 individui maschi, che tipicamente presentano sintomi di riduzione della visione centrale in età scolare, strabismo o anisometropia. La prognosi è spesso relativamente buona nell’infanzia, a meno che non si verifichino distacco di retina o emorragia del vitreo, che sono associati a una prognosi infausta. Circa il 50% dei pazienti presenta anche alterazioni retiniche periferiche. Un sottogruppo di pazienti presenta una retinoschisi bollosa, che tende a presentarsi nell’infanzia con strabismo, riduzione significativa della vista, nistagmo, mosche volanti secondarie a emorragia del vitreo o pupilla di forma irregolare.

Terapie geniche sperimentali

Attualmente per le retinopatie sono in fase di sperimentazione clinica una serie di nuove terapie, che probabilmente verranno ulteriormente sviluppate nei prossimi anni. Gli approcci terapeutici possono essere classificati in due tipi: quelli che mirano a rallentare il tasso di degenerazione e ridurre al minimo la perdita della funzione visiva e quelli che puntano a ripristinare la funzione visiva nella malattia allo stadio terminale.

La terapia genica è l’approccio terapeutico più avanzato per le varianti che causano una perdita di funzione ed è già disponibile un trattamento di sostituzione genica autorizzato per la malattia autosomica recessiva associata al gene RPE65.

Altri metodi sono impiegati in diverse fasi di sviluppo e non sono stati ancora applicati alle retinopatie legate al cromosoma X, ma sembrano promettenti. Questi includono gli oligonucleotidi antisenso (che sono piccole molecole che alterano l’espressione dell’RNA), l’editing genetico (ad esempio la tecnica di recente sviluppo CRISPR/cas-9) e l’editing dell’RNA.

Altri approcci includono farmaci locali o sistemici, volti a migliorare la sopravvivenza cellulare.

 

Bibliografia

Samantha R.De Silva et al., The X-linked retinopathies: Physiological insights, pathogenic mechanisms, phenotypic features and novel therapies, Progress in Retinal and Eye Research

 

 

 


13/Lug/2023

Studi e terapie innovative

USO DELL’ INSULINA NELLA CURA DEL GLAUCOMA AD ANGOLO APERTO E DI ALTRE PATOLOGIE A CARICO DELLA RETINA

Il glaucoma, una delle principali cause di cecità irreversibile in tutto il mondo; è caratterizzato da una perdita permanente delle cellule gangliari della retina, un gruppo di neuroni del sistema nervoso centrale che trasmettono le informazioni visive dalla retina al cervello attraverso terminazioni nervose dette assoni.

Clinicamente, il danno assonale in questa patologia provoca una perdita del campo visivo e può portare alla cecità. Attualmente, la riduzione della pressione oculare rimane l’unico obiettivo delle terapie comprovate per il glaucoma. Tuttavia, molti pazienti continuano a perdere la vista anche quando vengono attuati interventi standard.

I dendriti sono tipicamente ramificazioni neuronali che determinano come questi ultimi ricevono e integrano le informazioni. La retrazione dei dendriti e la rottura delle sinapsi sono segni precoci di diversi disturbi neuro/degenerativi. I neuroni hanno una capacità estremamente limitata di rigenerarsi dopo una lesione.

Recentemente l’insufficiente segnalazione dell’insulina è stata implicata in malattie caratterizzate da patologia dendritica, in particolare il morbo di Alzheimer e il glaucoma. l’insulina infatti attraversa la barriera emato-encefalica e influenza numerosi processi cerebrali.

Studi recenti hanno dimostrato che la somministrazione di insulina dopo la lesione del nervo ottico ha provocato una robusta ricrescita dendritica, la sopravvivenza delle cellule gangliari della retina e il salvataggio delle risposte retiniche, fornendo la prima prova di una rigenerazione dendritica riuscita nei neuroni dei mammiferi. Una ricerca [1] convalida la terapia insulinica come un potente farmaco per ripristinare la funzione dendritica nel glaucoma, formando la base per l’utilizzo dell’insulina come trattamento del glaucoma negli esseri umani.

Attualmente, l’insulina è largamente utilizzata nella cura del diabete. Gli eventi avversi comprendono ipoglicemia, ipokaliemia, lipodistrofia, allergie, aumento di peso, edema periferico e interazioni farmacologiche. L’uso sperimentale di insulina topica oculare è stato testato in piccole coorti di individui sani e pazienti diabetici, senza riportare eventi avversi significativi. Tuttavia, questi protocolli variavano nella posologia dell’insulina e gli eventi avversi sono stati solo accennati brevemente, indicando la necessità di caratterizzare meglio il profilo di sicurezza di tale uso off-label dell’insulina prima della sua applicazione come trattamento neuroprotettivo e rigenerativo per il glaucoma.

In questo studio, i ricercatori ipotizzano che l’insulina oculare topica (fino a 500 U/ml) una volta al giorno sia sicura nei pazienti con glaucoma ad angolo aperto.

Natura sperimentale del farmaco: trattamento

Secondo lo studio a cui stiamo riferendoci, applicazione topica di insulina con concentrazioni di 100 U/ml [2] e 500 U/ml [3] una volta al giorno agli occhi con diagnosi di glaucoma ad angolo aperto. (entrambi i prodotti di insulina sono approvati da Health Canada per uso sottocutaneo ed endovenoso per il trattamento del diabete mellito). La via di somministrazione proposta e l’indicazione dell’uso di insulina in questo studio sono di natura off-label, ma vuole dimostrare che l-uso dell’insulina oculare topica (fino a 500 U/ml) una volta al giorno è sicura nei pazienti con glaucoma ad angolo aperto, questo documentando e segnalando eventuali eventi avversi oculari e/o sistemici associati a colliri insulinici topici.

 

Bibliografia

[1] – Sicurezza delle gocce di insulina per uso topico per il glaucoma ad angolo aperto – 4 aprile 2023 – Centre hospitalier de l’Université de Montréal (CHUM) Registro degli studi clinici negli Stati Uniti – Sperimentazione clinica NCT04118920

[2] –  Humulin R U-100, Eli Lilly Canada, St-Laurent, Quebec, Canada

[3] – Entuzity, Eli Lilly Canada, St-Laurent, Quebec, Canada

 

 

 


14/Giu/2023

FOCUS MALATTIE RARE CON SINTOMI OFTALMOLOGICI:

Questo articolo vuole illustrare due malattie rare di trasmissione genetica che presentano distinti sintomi oftalmologici: se non correttamente valutate possono essere confuse con altre patologie.

LA SINDROME DI KEARNS – SAYRE

La sindrome di Kearns-Sayre (KSS) è una malattia rara (1/120.000 soggetti) generata da un raro errore congenito del metabolismo; essa è caratterizzato da oftalmoplegia esterna progressiva (PEO – con questo acronimo si intende una delle manifestazioni cliniche più comuni delle malattie mitocondriali; caratteristiche fondamentali di questa sindrome sono la ptosi palpebrale e la progressiva debolezza dei muscoli che governano i movimenti degli occhi) e retinite pigmentosa e per questo confusa appunto con la PEO progressiva.

La differenza tra le due patologie è che la prima esordisce in giovane età, la seconda invece colpisce soggetti adulti tra i 60 e gli 80 anni.

Entrambe le sindromi causano ptosi palpebrale (palpebra cadente) con paralisi dei muscoli oculari, con sguardo del paziente fisso e impossibilità di movimento degli occhi.

Altri sintomi associati spesso alla sindrome sono la presenza di retinite pigmentosa e diversi sintomi di natura neurologica: difficoltà nella parola, deficit cognitivo, cardiopatia, sordità e atassia cerebellare, non necessariamente presenti insieme.

La trasmissione genetica della sindrome di Kearns-Sayre avviene per via materna essendo trasmessa dalla cellula uovo; si tratta di una malattia mitocondriale, colpiscono cioè il mitocondrio che è il fornitore dell’energia del neurone. I geni coinvolti nella mutazione sono multipli e rappresentano la causa di anomalie multiple del DNA mitocondriale. La trasmissione può essere sia dominante che recessiva.

DIAGNOSI

La diagnosi genetica prevede il sequeziamento (tramite materiale raccolto con biopsia muscolare) del DNA mitocondriale e dei geni nucleari che permette di diagnosticare la mutazione.

Esistono comunque varianti della sindrome (es. sindrome di Melas e sindrome di Merrf) che associano altri sintomi come perdita totale di vista e udito e forme di epilessia.

TERAPIA

Le cure per la sindrome di Kearns-Savre sono essenzialmente sintomatiche.

Buoni risultati si possono ottenere somministrando Idebenone, per salvaguardare la vita delle cellule mitocondriali, in associazione a zafferano ad alti dosaggi che riduce gli eventi infiammatori che sono alla base di tutte le patologie degenerative.

Al momento non esistono terapie geniche, ma sono in corso studi a questo proposito in molti laboratori di ricerca.

 

LA SINDROME KIF2IA     

Sindrome genetica estremamente rara che comporta fibrosi congenita dei muscoli extra-oculari. Fin dalla nascita i neonati presentano subito una ptosi palpebrale e oftalmoplegia (alterazione della motilità oculare). I bambini non sembrano più in grado di gestire i muscoli interessati tanto che talvolta presentano atteggiamenti di esotropia o exotropia con impossibilità nei movimenti oculari.

Questa mutazione risulta molto più diffusa nelle popolazioni di origine libanese, siriana o marocchina; i rarissimi casi che si osservano in Italia sono quasi sempre in bambini con genitori naturali di questa provenienza (immigrati o adottati).

Per gli effetti legati alla grave ptosi i piccoli pazienti si presentano con il mento sollevato (effetto chin-up), ma per il resto la visione risulta assolutamente normale lo stesso si evidenzia sia per le funzioni cognitive che motorie.

La sindrome presente nel cromosoma K causa un danno della kinesina, una proteina necessaria ad un perfetto funzionamento neuro-vascolare. La malattia è trasmessa in eterozigosi, ma anche in forma dominante; esistono anche casi di ambliopia, coloboma del nervo ottico, glaucoma e cataratta.

TERAPIA

La terapia è di natura esclusivamente chirurgica e consiste nell’intervento sulla ptosi palpebrale congenita.

Alcuni pensano che intervenendo con neurochirurgia o chirurgia maxillo-facciale sulla fibrosi dei muscoli retrobulbari si possa avere un miglioramento nella motilità oculare, ma al momento nessuno ha mai effettuato questo trattamento sperimentale.

 

malattia di Vogt-Koyanagi-Harada

La malattia di Vogt-Koyanagi-Harada è una patologia sistemica molto rara, l’incidenza è stimata in circa 1/400.000 casi l’anno, le donne tra i 20 e i 30 anni sono colpite di più degli uomini

La sindrome si manifesta con una panuveite granulomatosa diffusa, cronica, bilaterale, caratterizzata dal distacco della retina di tipo essudativo, spesso associata a alterazioni neurologiche (meningite), dell’udito e della cute.

È particolarmente diffusa tra i soggetti di origine asiatica, indiana, nei discendenti degli indiani d’America e negli Ispanici, ad essa è infatti riconosciuta una base genetica che si ipotizza sia legata all’alterazione di alcune proteine motrici denominate chinesine; tale alterazione genera una risposta autoimmune contro normali costituenti dell’organismo, nello specifico contro i melanociti, cellule contenenti melanina, localizzate nel tratto uveale, nella cute, nell’orecchio interno e nelle meningi.

SINTOMATOLOGIA

L’esordio della malattia è di solito sistemico ed aspecifico: febbre, cefalea, indolenzimento, ma subito dopo sintomi neurologici tendono a manifestarsi precocemente e comprendono acufeni, abbassamento dell’udito, vertigini, cefalea e meningismo. I riscontri cutanei compaiono spesso più tardi e comprendono vitiligine a chiazze (particolarmente frequente su palpebre, regione lombare e natiche), poliosi (una chiazza localizzata di capelli bianchi, che può coinvolgere le ciglia) e alopecia.

La fase oftalmologica compare pochi giorni dopo; il paziente lamenta visione offuscata, dolore ai globi oculari e scotoma centrale (bilaterale nell’80% dei casi). Spesso si verifica un distacco della retina, bilaterale, di tipo essudativo, edema del disco ottico e coroidite.

Le uveiti ricorrenti caratterizzano l’ultimo stadio, la fase cronica. Altre complicanze sono la comparsa di cataratta, glaucoma, fibrosi sottoretinica, e neo-vascolarizzazione coroideale.

 

TRATTAMENTO

Il trattamento precoce comprende corticosteroidi locali e sistemici e un farmaco cicloplegico-midriatico (che agisce dilatando la pupilla). Molti pazienti rispondono inoltre al trattamento con immunosoppressori non-steroidei.

Utilizzando un trattamento precoce ed aggressivo la prognosi di solito è favorevole, anche se possono recidivare i disturbi acuti alla vista e all’udito.



Dr. Carmine Ciccarini

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